La patina è uno degli aspetti che più contribuiscono a caratterizzare l’opera d’arte, ad esprimere il suo esistere nel tempo.
Costituisce il suo autentico e positivo “tempo vita” e perciò è inseparabile dalla stessa. ”
Se la modifica avverrà per quello che noi chiamiamo “atto secondo positivo”, la registreremo non già come mero accadimento artificiale esterno ma quale storia naturale calatasi nel “tempo vita” dell’oggetto che non riceve pertanto danno nel valore espressivo ma che si carica invece e ancora di essa…”‘°.
II concetto di patina fù rivalorizzato ed esaltato in epoca romantica, anche se non fù un’invenzione di quel momento storico.
Le sue origini, infatti, risalgono al Cinquecento, epoca in cui, in Europa, la patina delle opere era molto apprezzata dai collezionisti.
Già nella seconda metà del Seicento il Baldinucci definiva la patina come “Voce usata da’ Pittori, e diconla altrimenti pelle, ed è quella universale scurità che il tempo fa apparire sopra le pitture, anche se tal volta le favorisce.
La problematica della patina non può rimanere legata a opinioni personali, deve anzi essere inserita a pieno titolo nell’ambito della teoria della conservazione.
Saranno i risultati dell’analisi filologica, preliminare a qualsiasi ricerca, a definire ciò che è patina in ogni caso specifico.
La patina, in relazione al mobile, include sia tutti i processi di invecchiamento naturale da esso subiti (in molti casi previsti e desiderati dagli stessi artefici, che sceglievano con cura determinati materiali in funzione degli effetti di alterazione che si sarebbero prodotti con il passare del tempo), sia gli interventi del passato, ammesso che entrambi presentino un carattere positivo.
In concreto, la patina di un mobile si traduce in un mutamento cromatico dei pigmenti naturali del legno, delle finiture, della pittura, della lacca o di qualsiasi altro materiale applicato al mobile (oro, argento, osso, avorio, tartaruga ecc.).
Ma il concetto di patina include anche altri fenomeni: imbarcature o irregolarità dell’insieme dei materiali che costituiscono il mobile (ad esempio la deformazione plastica di un ripiano in legno o le irregolarità negli intarsi); l’abrasione delle superfici (come il logoramento di una modanatura o dell’oro); le “craquelure> che colpiscono sia il legno sia gli altri materiali di cui è costituito un mobile.
Non si considera patina, invece, lo sporco accumulatosi sulle superfici.
In definitiva, il concetto di patina nel mobile fa riferimento a tutti i segni del suo passato, per quanto insignificanti possano apparire a prima vista.
Piccoli messaggi che solo un occhio esperto è in grado di captare e che solo al momento del restauro possono rivelarsi completamente.
Perciò è da considerare illecita qualsiasi forma di mascheramento, cosciente o incosciente, di tale invecchiamento dell’opera.
La grande difficoltà connessa al mantenimento della patina, insieme al rispetto per la leggibilità delle opere e al prolungamento della loro vita fisica, richiede un’azione critico filologica preliminare all’intervento sul mobile”.
Quest’azione ci permetterà di determinare in ogni caso specifico come si possano conciliare, nel modo più rigoroso ed etico possibile, i fattori sopra citati.
Purtroppo, nel campo del mobile, la sensibilità verso la patina, che è precisamente ciò che conferisce al mobile questo affascinante aspetto unico ed irripetibile, brilla proprio per la sua assenza.
Qui la patina si converte in un concetto discutibile e soggetto a valutazioni personali e alle mode del momento
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